Le caratteristiche della classe operaia nel nostro tempo. International Workers Institute - Athens - Seminar 7-8 november 2025
Intervento di Pierpaolo Leonardi - USB Italia
La congiuntura politica economica internazionale ci sta obbligando ad una accelerazione non solo nella mobilitazione ma anche nell'analisi che deve essere la nostra guida anche nei momenti più caotici e convulsi. Del resto lo scenario globale è certamente il frutto dell'acuirsi delle contraddizioni del capitale e della sua difficoltà nella valorizzazione.
La frammentazione sembra essere la parola che meglio spiega la situazione e che determina i processi di ridefinizione geopolitica. I blocchi come li abbiamo conosciuti sono stati superati prima dalla globalizzazione e poi dalla competizione inter imperialista, la fine dell'egemonia politica e economica degli USA, a cui Trump cerca di trovare risposta attraverso una sorta di neo nazionalismo corporativo, ha segnato pesantemente il quadro delle relazioni.
La Storia non è finita, è finito l'unipolarismo che aveva occupato ogni spazio dopo la fine dell'Unione Sovietica.
La crescita tecnologica programmata e tumultuosa della Cina, la nascita, complessa e travagliata di un nuovo blocco economico, i BRICS+, che raccoglie Paesi che sommano non solo quasi la metà degli abitanti del Pianeta ma soprattutto risorse economiche, materie prime e fossili enormi stanno cominciando a scrivere un nuovo capitolo che mette in discussione il signoraggio del dollaro, le politiche neo imperialiste e neo coloniali degli USA e dei residui del vecchio continente europeo.
UE oggi deve affrontare due corni Inevitabili, l'aggressività economica di Trump che punta al ridimensionamento economico e politico dell'Unione Europea che si stava proponendo nella competizione interimperialista, e la guerra in Europa che l’EU cerca di volgere a proprio profitto economico e geostrategico.
In questo panorama pieno però di incertezze e variabili, determinate soprattutto dalla crisi sistemica del capitale e quindi del modo di produzione capitalistico, la tecnologia avanzata, l'irrompere dell'intelligenza artificiale aprono nuovi scenari, inediti nelle forme ma non nella sostanza.
Già ora l’Intelligenza Artificiale sta contribuendo a deregolamentare e trasformare il lavoro umano rendendolo succube delle macchine quando non completamente subalterno.
La tecnologia consente la creazione di macchine che si appropriano della conoscenza e del sapere operaio andando così ad arricchire il capitale fisso e ad impoverire il capitale variabile.
Molto lavoro vivo e lavoro mentale diventano inutili in quanto sostituibili dalle macchine tecnologicamente avanzate e dall’intelligenza artificiale. La manipolazione del sapere al servizio del potere e del capitale consentono grandi risultati sul piano della diffusione a livello di massa dell’ideologia dell’avversario di classe. Nessuna disponibilità ad utilizzare il progresso tecnologico per giungere ad una riduzione del tempo di lavoro, dell’intensità di lavoro, alla distribuzione del lavoro esistente.
La fine dell’esperienza dell’Unione Sovietica ha segnato anche il tramonto della capacità del movimento operaio, in particolare in Europa, di mantenere tutto quel potere che si era conquistato beneficiando della forza prorompente del socialismo che aveva grandemente fortificato e sospinto i movimenti operai dei Paesi usciti dalla seconda guerra mondiale in piena dominazione statunitense.
Dagli anni 90 le conquiste e il posizionamento avanzato raggiunto dalla classe operaia vengono rapidamente aggredite e smantellate, il modo di produzione capitalistico si va riaffermando, la prospettiva di un suo cambiamento si allontana giorno dopo giorno e la borghesia trova un alleato formidabile nei rappresentanti sindacali gialli legati ad una prospettiva revisionista e socialdemocratica che ben presto ne diventano i più fedeli difensori e attuatori.
Lo sfruttamento trova nuove forme e nuovi soggetti nell’immigrazione dai Paesi in via di sviluppo a cui si affidano i lavori più umili e faticosi nel settore primario e in quello della logistica.
La rigidità operaia viene travolta, irrompono i classici strumenti di divisione tra i lavoratori, le categorie, la produttività, le classificazioni e le stratificazioni per qualifica diventano oggetto principale della contrattazione collettiva a cui agganciare le dinamiche salariali subordinate quindi ai margini di profitto realizzati anche attraverso la competizione interna alla classe.
Cresce il ricorso alla precarietà che travalica i confini della fabbrica per diventare paradigma di vita. L’incertezza del salario e della stabilità sono strumenti di ricatto generale che pervadono ogni elemento della vita umana.
Si allontana la parificazione di genere riproponendo schemi di patriarcato nella vita e nel lavoro; il lavoro miete vittime e produce mutilazioni e infermità per garantire maggiori margini di profitto attraverso lo sfruttamento intensivo. I salari subiscono le variazioni delle congiunture economiche diventando variabili dipendenti dall’andamento di mercato, l’innovazione tecnologica invece di ridurre la fatica e il tempo di lavoro produce disoccupazione e licenziamenti.
Si delinea un nuovo mondo del lavoro senza diritti, subordinato al capitale e alle sue necessità di valorizzazione. Le rare lotte operaie dirette dai sindacati complici sono unicamente difensive e sempre più frequentemente sono inevitabilmente destinate alla sconfitta per la non volontà di utilizzare appieno la potenza della lotta e la radicalità degli obbiettivi.
È il nemico che marcia alla testa delle lotte e della classe operaia e che si fa Stato e padronato, che condivide il perseguimento degli obbiettivi del capitale e si dispone unicamente a cercare di ridurre il danno che tali scelte politiche e economiche inevitabilmente porteranno alla classe dei lavoratori.
La guerra permanente rappresenta la massima espressione della crisi dell’Occidente. Essa dimostra che il sistema non ha più margini di riforma e ricorre alla distruzione come unica via di sopravvivenza.
La tendenza alla guerra, alimentata dall’Unione Europea e dagli USA facilita la compressione dei diritti, sociali e civili, consente di scaricare sui salari e sul welfare il costo delle trasformazioni necessarie all’affermarsi dell’economia di guerra.
È la preparazione alla guerra lo strumento attraverso cui il capitale risponde all’esaurimento della sua capacità di accumulazione produttiva e alla progressiva deindustrializzazione affidandosi all’apparato militare industriale per rilanciare con la produzione di armi la propria presenza sul mercato mondiale in crisi per l’acquisito nuovo slancio produttivo della Cina e del Vietnam.
La parola d’ordine storica del movimento operaio internazionale, Pace e Lavoro, si trasforma, anche tra i ranghi socialdemocratici, in Guerra e Lavoro, a sottolineare che solo il war-fare saprà garantire lavoro e quindi ricchezza per le nazioni.
Il segno distintivo della fase che attraversiamo in Europa è quello del reshoring, cioè del rientro delle produzioni precedentemente delocalizzate nei Paesi a più alta produttività e a minore salario e diritti per i lavoratori. Un fenomeno dovuto anche questo alla straordinaria capacità avuta dalla Cina di chiudere con la fase delle produzioni a bassa qualità e a basso costo e ad aprire una fase di produzioni ad alta qualità e con salari molto vicini agli standard occidentali.
Tale trasformazione, che è andata prima di tutto ad alimentare la domanda interna, ma anche esportazioni di qualità a prezzi molto competitivi rispetto a quelli occidentali, ha prodotto due effetti principali, la scomparsa di margini adeguati di profitti nel produrre in Cina, e di qui il reshoring, e la necessità di comprimere i salari interni per cercare comunque di recuperare margini di profitto attraverso la riduzione del costo del lavoro.
Questi tentativi di ammortizzare la crisi economica hanno portato ad una ulteriore crescita delle disuguaglianze sia all’interno dell’Unione Europea sia all’interno degli stessi Paesi espandendo le sacche di povertà assoluta e relativa già presente nei vari Paesi, bloccando la contrattazione e gli adeguamenti dei salari al costo della vita e all’inflazione, ampliando la platea della precarietà mascherata da flessibilità, utilizzando l’immigrazione come strumento di forte ricatto verso gli occupati a pieno orario e pieni diritti.
Le politiche adottate dall’Unione Europea per cercare di uscire da una crisi, profonda e senza via d’uscita perché strutturale e sistemica, sono state tutte indirizzate a favorire la finanziarizzazione e le privatizzazioni, producendo un forte immiserimento complessivo, una ritirata degli Stati dal governo dell’economia, e passando dalla parola d’ordine creata dal liberismo negli anni pre crisi – meno Stato più mercato – ad una ben più significativa – più Stato per il mercato – orientando le risorse tutte a sostenere le imprese, incapaci di procedere nei loro affari senza il vigoroso sostegno dello Stato, un capitalismo straccione e assistito.
La competizione si afferma anche all’interno della classe.
Una martellante campagna tesa all’affermazione del merito e dell’individualismo permea le società e infetta la classe dei lavoratori. La spinta all’individualismo viene adoperata con il doppio fine di isolare il lavoratore e di fiaccare la capacità di risposta collettiva.
La mancanza di risposte adeguate da parte dei sindacati complici crea, a lungo andare, una reazione di disaffezione del corpo sociale alle lotte che vengono considerate inutili e a cui si sostituisce la competizione individuale o di corporazione basata sul merito.
Si riaffermano vere e proprie tendenze a ricostruire “aristocrazia operaia” disponibile ad assecondare le politiche neocolonialiste e imperialiste del capitale perché queste favoriscono un interesse diretto per segmenti di lavoratori seppur a discapito della massa.
Le politiche ultra nazionaliste e razziste si affermano anche all’interno della classe, le forze di estrema destra si affermano tra gli strati popolari a cui si offre l’immigrato o il povero come responsabile della propria condizione di difficoltà economica e sociale.
Si ottengono così più risultati, si distoglie l’attenzione dei lavoratori dalle responsabilità della borghesia e del padronato sulla propria condizione di vita e si alimentano forme di vero e proprio razzismo nei confronti degli immigrati, contribuendo a relegarli ai margini della società e ad essere utilizzati come esercito industriale di riserva e quindi vero e proprio strumento di ricatto occupazionale e salariale per la classe dei lavoratori.
L’affermarsi di queste tendenze avviene soprattutto nelle regioni a minore sviluppo industriale, dove la crisi e la deindustrializzazione hanno pesato di più creando disoccupazione e miseria.
Il dilagare del fenomeno dell’astensione e del voto alle formazioni di estrema destra sono certamente da attribuirsi anche alla percezione di abbandono in cui versano le classi popolari e il ceto medio impoverito, tradito da quelle forze che si spacciavano per essere vicine al popolo e ai lavoratori.
In una simile situazione il mondo del lavoro e le sue organizzazioni sono chiamate non solo a resistere e lottare ma anche a individuare nuove forme e nuovi terreni su cui esprimere egemonia di classe.
Uno degli elementi che emergono con più forza è il fatto che dagli anni 90 in poi sono stati la borghesia e il padronato a esercitare la lotta di classe dall’alto senza trovare una corrispondente capacità della classe lavoratrice di contrattaccare e riportare il lavoro al centro nel conflitto tra capitale e lavoro.
La disgregazione prodotta dalle scelte collaborative dei sindacati complici ha finito per disarmare gli operai e i lavoratori in generale.
governi, indifferentemente se di centro destra o di centro sinistra, hanno lavorato sul piano legislativo a fianco degli interessi della borghesia e del padronato sfornando leggi e decreti in linea con i diktat dell’Unione Europea con cui hanno riorganizzato la produzione, alzato a dismisura il tempo di lavoro, fortemente limitato il diritto di sciopero, inasprito la repressione per chi nei conflitti da lavoro organizza o partecipa a blocchi stradali, occupazioni delle aziende, picchetti ecc.
In particolare tali misure sono servite a depotenziare la possibile risposta alle delocalizzazioni, ai licenziamenti, alle chiusure di siti produttivi, indebolire le lotte per aumenti salariali e per l’applicazione dei contratti, rompere nei fatti la solidarietà internazionalista cercando di riprodurre segmenti di aristocrazia operaia.
Il rilancio della lotta di classe è quindi il principale obbiettivo che le organizzazioni sindacali combattive e class-oriented debbono porsi; in questo senso la politicizzazione dello scontro aiuta a separare nettamente e praticamente gli interessi nel conflitto tra capitale e lavoro, la mera lotta economica non sarà mai in grado, in verità non lo è mai stata, di spostare a nostro favore l’ago della bilancia.
La sconfitta dei progetti del capitale e della borghesia passa anche attraverso la diffusione della consapevolezza del potere che i lavoratori - i produttori di ricchezza- hanno nelle loro mani e quanto sia potenzialmente forte la loro azione se indirizzata a colpire le contraddizioni principali dell’avversario.
La formazione dei delegati di azienda, di quadri operai e di lotta è necessaria quanto la formazione politica. In Italia c’è un vecchio detto che recita “Il padrone conosce 1000 parole, l’operaio ne conosce 10, per questo il padrone è padrone e l’operaio è operaio”.
La politicizzazione delle lotte passa inevitabilmente per questa capacità che dobbiamo avere di fornire strumenti adeguati alle avanguardie di classe affinché non cadano nell’economicismo, che è lo strumento che i sindacati gialli utilizzano per impedire la crescita consapevole dei lavoratori e dei delegati combattivi.
Antifascismo, antimperialismo, anticolonialismo non siano mai uno slogan! Inquadrare ogni nostra rivendicazione, ogni nostra lotta o vertenza dentro questo quadro di riferimento è essenziale a collocare nella giusta direzione ogni nostra azione.
La storia della FSM è senz’altro maestra in tal senso e va diffusa tra le masse lavoratrici come esempio di unità, di solidarietà, di disponibilità a scendere in campo ogni qual volta i lavoratori di un Paese vedano messa in discussione la propria indipendenza, la propria storia.
Le enormi mobilitazioni, gli scioperi, le dimostrazioni realizzate in tutto il mondo in difesa del Popolo Palestinese e contro la guerra scatenata dallo Stato terrorista di Israele sono una chiara affermazione di antimperialismo e anticolonialismo e di quanto i nostri principi siano ben radicati in tutte le organizzazioni aderenti alla FSM.
In Italia la mobilitazione è stata avviata da USB e guidata da operai e studenti realizzando una forte connessione tra loro che ha avuto la capacità di proclamare scioperi generali politici e trascinare per giorni nelle piazze milioni di persone da anni assenti dalla scena politica.
Come avvenne per il Vietnam negli anni ‘60 e ’70, la difesa di un popolo dall’aggressione imperialista ha funzionato da innesco e collettore per una ripresa di coscienza politica collettiva che ora si sta riversando sulle politiche interne contro la destra e la war-economy.
Non semplice solidarietà ma risveglio di coscienze da troppo tempo rese inerti dalla pesante cappa culturale e politica calata dal capitale e dalla borghesia sulle masse popolari. Neanche in questo drammatico frangente la ETUC e i sindacati gialli che vi aderiscono hanno espresso un livello minimamente decente e politicamente adeguato di iniziativa e di solidarietà.
Ottobre 2025