Dopo la Grecia anche la Spagna parla a noi! Varata una riforma del mercato del lavoro tra le più pesanti in Europa

Il 10 febbraio scorso, il nuovo governo spagnolo guidato dal popular Rajoy ha varato per decreto una pesante riforma del mercato del lavoro, eliminando quella che tutti gli economisti confindustriali e non solo di casa nostra chiamano rigidità ma che in sostanza si traduce nella quasi totale distruzione dei diritti e delle garanzie esistenti, naturalmente in nome di maggiori sicurezze per i giovani e per favorire l’occupazione.

Ci ricorda qualcosa?

A giudizio di molti commentatori, queste misure, anziché favorire, aumenteranno la disoccupazione che in Spagna già raggiunge il 23%  e tra i giovani tra i 15 e i 24 anni il 40%.

In sintesi, i principali contenuti della riforma:

Si riduce il valore dell’indennità di licenziamento senza giusta causa ( in Spagna non esiste il diritto al reintegro) da 45 a 33 giorni di salario per ogni anno di lavoro, che però vengono ridotti da 42 ad un massimo di 24.

I licenziamenti economici, cioè per crisi aziendale già in essere o presunta o per motivi organizzativi, considerati per giusta causa, saranno indennizzati con 20 giorni di salario per anno di attività per un massimo di 12.  Lo scopo dichiarato è di ‘ridurre gli alti costi per le aziende che licenziano’!

C’è n’è anche per i dipendenti pubblici:  potranno essere licenziati per più di un quinto del totale, 685.000 su 3.100.000, tutti coloro che, pur lavorando nelle pubbliche amministrazioni con un contratto equiparato al privato, non sono coperti dalla qualifica di funzionario. Basta che l’ente pubblico sia in deficit da nove mesi perché chi la dirige possa licenziare senza alcun filtro giudiziale. A questi si applicano le indennità previste per i licenziamenti economici di cui al punto precedente.

Per i contratti nazionali viene abolita l’ultrattività: decorsi due anni dalla loro scadenza e in assenza di un nuovo accordo sul rinnovo, perdono efficacia e decadono.

Si afferma la priorità dei contratti aziendali, indipendentemente da quanto stabilito in sede di contratto nazionale territoriale, e se ne ampliano le competenze in materia di flessibilità di orari, funzioni e retribuzioni.

Si semplificano le regole per il contratto di formazione e apprendistato che può essere reiterato per due volte se per diversa attività nella stessa azienda!

Le assunzioni a tempo indeterminato nelle aziende con meno di 50 dipendenti, che rappresentano il 95% del tessuto produttivo spagnolo, vengono favorite tramite sgravi fiscali consistenti; il periodo di prova viene portato ad un anno.

Divieto di proroga o rinnovo oltre i due anni dei  contratti a termine (in Italia possono già arrivare a 36 mesi con l’accordo tra le parti).

Coloro i quali ricevono l’indennità di disoccupazione potranno essere adibiti a lavori socialmente utili mentre l’azienda che li assume può utilizzare il 25% di questa indennità per completare la retribuzione ed ottenere lo sconto del 50% sul costo del lavoro.

Naturalmente non mancano le solite norme per la formazione, contro il lavoro nero, ma sopratutto misure contro l’assenteismo.

 

Anche da noi ci si sta avviando su questa strada, la trattativa, tanto discussa, sui giornali e nelle dichiarazioni di ministri, padronato e sindacalisti, è entrata nel vivo; contrabbandata come la riforma che deve assicurare un futuro ai giovani in realtà serve solo a minare quel poco di diritti e garanzie ancora rimasti al mondo del lavoro.

Si blatera di flexsecurity alla danese, di drastica riduzione delle forme dei contratti atipici, oggi sono 46, di rinuncia al posto fisso per passare ad una più accentuata flessibilità, addirittura di abolizione della cassa integrazione sostituita da nuove forme di ammortizzatori sociali dal carattere  universale, ma la verità è che il tavolo parte già viziato da due elementi centrali , il primo è che non c’è un euro da mettere in gioco per una vera riforma del welfare lavorativo che, quantomeno dovrebbe prevedere il reddito garantito per i disoccupati e per chi perde il lavoro in attesa di una nuova occupazione, altro che abolizione della CIG!

Il secondo elemento è che tutta questa vicenda è viziata da un obiettivo di fondo, eliminare gli ultimi residui di qualsiasi normativa che possa apparire come un impedimento al ‘libero dispiegarsi dell’iniziativa imprenditoriale’ facendo piazza pulita del seppur minimo diritto dei lavoratori e delle lavoratrici. Marchionne docet.

Il tutto condito con un forte sentimento di disprezzo, quale si evince dalle infelici battute sulla monotonia del  posto fisso o sulle generazioni mammone, che ben denota lo spirito di classe di questo governo tecnico, come si desume dal continuo riferimento all’abolizione dell’art.18, che interessa non più del 3% delle aziende italiane e che si configura come un obiettivo puramente ideologico, inteso a far capire a tutti e a tutte che niente potrà più essere come prima e che anche su questi temi, accordo o meno con i sindacati compiacenti, il governo è determinato ad andare avanti decidendo anche da solo.

Per questo quanto avvenuto in Spagna parla anche a noi, ci parla della necessità di non stare a vedere cosa farà la CGIL, ne abbiamo già avuto prova con la firma della Camusso all’accordo del 28 Giugno.

Ci parla della necessità di continuare a battersi affinchè l’idea e la pratica della democrazia non vengano espulse dai posti di lavoro, per permettere ai lavoratori di essere protagonisti nelle vicende che li riguardano, per estendere a chi non li ha diritti e garanzie,  per rafforzare il sindacato conflittuale e non collaborazionista.

Anche con il voto nelle prossime elezioni delle RSU del Pubblico Impiego.