3 ottobre Catalogna sciopero generale. Il referendum era solo l'inizio
Scendiamo per strada al mattino nella solitamente affollatissima Rambla e scopriamo che la maggioranza dei negozi è chiusa. Fermi i bar e i caffè, aperte solo le catene internazionali e i market chinos o bangla. Sembra domenica ed invece è in corso uno straordinario sciopero generale. Una astensione civica l’hanno chiamata i grandi sindacati CC.OO. e UGT, che hanno deciso di partecipare quando hanno capito che starne fuori avrebbe ulteriormente indebolito la loro già precaria credibilità. Gruppi di giovani attraversano la città sventolando bandiere, altri hanno già interrotto la circolazione delle autostrade e delle principali linee viarie regionali. Barcellona, città cosmopolita, scopre la forza dello sciopero sociale, quello che partendo dai posti di lavoro si allarga a tutti, investe la metropoli e la paralizza. La risposta violenta di Madrid (ma a Puerta del Sol domenica erano in migliaia a sostenere i diritti del popolo catalano) ha radicalizzato ed allargato la protesta. Ieri un piccolo gruppo di ragazzi ha cominciato a manifestare in calle Laietana davanti alla caserma della Policia nacional: a sera erano diventati migliaia e gridavano “Fuori la forza di occupazione”. Alle 11 in calle Mallorca, dove ha sede la Delegazione del governo di Madrid, si raduna una piccola folla di contestatori. Di lì a poco arrivano centinaia di pompieri in divisa, acclamati al grido di “più pompieri e meno polizia” e i manifestanti diventano rapidamente migliaia. Mani alzate, spalle alla polizia nazionale, dieci minuti di silenzio: i pompieri chiariscono che si sentono chiamati a difendere la popolazione come se si fosse in presenza di una calamità naturale.
E saranno proprio i pompieri a guidare l’enorme corteo che attraverserà le strade della città, ingrossandosi continuamente di altre componenti, dai quartieri, dall’Università, fino a trasformarsi in un unico serpentone senza testa né coda che intasa tutte le grandi arterie del centro. Quando la banda del corpo intona Bella Ciao, tra ali di folla che applaude, capisci che la rivendicazione di indipendenza in Catalogna ha un evidente significato antifascista: le due rivendicazioni sono inscindibili, l’una cresce dentro l’altra. La gente qui ti dice che la policia nacional è la rappresentazione concreta di un franchismo mai tramontato. A tutti quei compagni che in Italia continuano a codificare di nazionalista questa lotta vorremmo trasmettere lo spirito libertario di questo movimento. Non solo c’è una grande distanza da quello che noi conosciamo come nazionalismo xenofobo ma c’è soprattutto lo spirito di libertà e di democrazia che sprigiona da una città aperta e inclusiva com’è Barcellona.
I compagni della Intersindical-CSC, una organizzazione sorella dell’USB, aderente alla Federazione Sindacale Mondiale, ci hanno spiegato la relazione naturale tra lotte sociali e spirito indipendentista. Per loro, ci dicono, è stato sempre così anche se dal 2010 la spinta si è radicalizzata. Quando il governo centrale ha tradito il patto di autonomia che era stato costruito con le istituzioni catalane, approvando alle Cortes una legge completamente diversa, la rivendicazione di fare da soli è cresciuta fortemente. I tagli ai servizi sociali e le privatizzazioni, che hanno origine nei diktat della UE, sono stati scaricati dal governo centrale di Madrid sulla Catalogna in maniera addirittura più massiccia. Peggioramento delle condizioni economiche e centralizzazione delle decisioni hanno agito come una tenaglia e il movimento indipendentista è cresciuto. A chi dice che la borghesia catalana sarebbe la vera protagonista della lotta, i compagni della CSC ricordano che grandi banche e grandi imprese della regione hanno sempre sostenuto il governo centrale e si sono schierate fortemente contro il referendum. Solo la piccola e media impresa appoggia il movimento, assieme alle imprese del settore tessile, concentrate a pochi km da Barcellona. Il movimento quindi non è puro (ma quando mai ne è esistito uno?) dal punto di vista sociale, ma le componenti di classe non sono affatto minoritarie. Inoltre, ci ricordano alla CSC, la Catalogna è fatta ormai di tantissima gente che viene dal resto del paese, che ha parenti in Andalusia come in Estremadura: sono pochi i catalani doc, quelli legati alla propria terra da generazioni. La rivendicazione di indipendenza quindi qui ha un sapore particolare: più libertà, più democrazia, più diritti. Gli avvenimenti di domenica primo ottobre hanno comunque rappresentato una svolta confermando quello che dicono i compagni della CUP, l’organizzazione politica di sinistra che sta svolgendo una funzione molto importante: siamo in un processo, sarebbe sbagliato vedere il referendum come un punto di arrivo. Da qui in avanti comincia un’altra storia, nella quale le ragioni della nostra parte, i lavoratori, le classi popolari, i giovani precari, dovremo essere bravi a far crescere e prevalere.
Parte di questo processo è appunto lo sciopero di oggi 3 ottobre. Mentre scriviamo un rumoroso corteo di migliaia di portuali sta risalendo la Rambla, direzione plaza Catalunya, mentre da Madrid arrivano segnali bellicosi. Si parla di destituzione della Generalitat, il governo regionale, a cui potrebbe seguire la dichiarazione di Indipendenza: qualche volta la storia comincia a correre vorticosamente, e quello che succede in poche ore sembra essere il frutto di un processo durato un numero infinito di anni.
Unione Sindacale di Base